Il santo, vissuto tra III e IV secolo d.C., è una delle figure più rappresentative del monachesimo cristiano in Egitto. Si spogliò dei suoi beni, donandoli ai poveri e si ritirò in meditazione nel deserto. Qui, in solitudine, intraprese la via della perfezione.

Secondo la tradizione, il demonio lo avrebbe tentato più volte, apparendogli sotto forma di angelo, di donna e di porco, animale che nella tradizione incarna l’ingordigia e la lussuria.

Per questo motivo Sant’Antonio Abate è raffigurato con un maialino ormai ammansito ai piedi, a simboleggiare la sua vittoria contro le tentazioni.

Nei secoli, però, l’importanza del maiale nella cultura contadina ha progressivamente modificato il significato di quest’immagine e il santo si è trasformato, da vincitore sul verro-diavolo, a protettore del maiale-amico e, per estensione, di tutti gli animali domestici.

A partire dall’XI secolo, i monaci della congregazione religiosa degli “Antoniani” iniziarono a curare i malati del cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio” (Herpes Zoster) con unguenti preparati con il grasso dei maiali che allevavano nei loro monasteri.

La ricorrenza di Sant’Antonio Abate – il 17 gennaio, data della sua morte – era molto sentita nelle campagne. Il giorno prima i contadini pulivano bene la stalla e davano una doppia razione di cibo agli animali, perché secondo la tradizione il santo sarebbe venuto, durante la notte, a far visita agli animali e, se questi gli avessero riferito di non essere trattati bene, lui non avrebbe fatto nulla, durante l’anno, per preservare i loro padroni dalle avversità.

Testo a cura di: Giancarlo Gonizzi