Raccontava il povero Luigio di Rimagna (frazione di Monchio delle Corti), e così tutti i vecchi del paese, di come in passato la castagna fosse presente “in tutte le salse” nei pasti quotidiani; “tutte le salse” è una esagerazione, perché alla fine i modi erano sempre quelli: arrostita (Bruzädi), bollita (Barlingòt) e sotto forma di farina, come polenta, pattona o come frittelle.

Pensare che oggi le troviamo (caldarroste) solo nei pochi chioschi sparsi nelle città.

In passato i castagneti venivano curati e puliti e in ottobre, al momento della raccolta, c’erano più persone nei boschi che nelle piazze dei paesi. Le castagne, una volta raccolte, venivano essiccate nei “metati”: piccole costruzioni nei boschi, divise a metà da una griglia su cui venivano sparse le castagne; sotto si accendeva un fuoco che bruciava lentamente per giorni.

Da molti anziani montanari ho sentito racconti sul “cibo di una volta”: in pochi, sinceramente, oggi, mangiano volentieri le castagne: “ne abbiamo mangiate abbastanza in gioventù”, rispondono. Forse dovuto alle castagne, forse no, ma fino a novantadue anni Luigio girava per i boschi portandosi a casa piccoli alberi che si caricava sulla schiena per farne legna da ardere.

Vista la tematica, se vorrete immergervi nell’ambiente adatto alla castagna, vi consigliamo di visitare le pievi di montagna e di unire una visita al Parco del monte Fuso, alla Riserva del Monte Prinzera o all’Oasi dei Ghirardi.

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